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Ecologia e ambiente

Balene e dintorni

Ho da poco letto “Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa” di Luìs Sepulveda, lo scrittore della più famosa favola “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”.

È una bella favola per adulti e bambini, che racconta la storia della  balena bianca per anni ha presidiato le acque che separavano la costa cilena da un’isola sacra per i nativi del luogo, la Gente del mare, onorando un patto antichissimo stipulato con loro.

Per svolgere il suo compito di protezione, la balena bianca dovrà difendere le coste dai forestieri armati di fiocine e di arpioni, persone senza scrupoli che depredano il mare delle loro ricchezze.

La storia è raccontata in prima persona dalla balena bianca, l’animale più grande di tutto l’oceano, che con la sua narrazione malinconica ci trasporta nelle profondità degli abissi per farci conoscere il suo mondo.

Da grande amante del mare, questo libro mi ha affascinato e ve lo consiglio, anche da regalare! Tra una pagina e l’altra trovate anche splendide illustrazioni.

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Leggere la storia di questa balena uccisa dagli uomini forestieri (il libro inizia con la sua morte, niente spoiler!) mi ha fatto pensare a quanto poco si conoscano questi splendidi animali. Inevitabilmente, un pensiero va anche a quelli che sono nati e vivono in cattività nei parchi acquatici come Marineland in Francia, o SeaWorld in California.

SeaWorld è tristemente noto per la storia dell'”orca assassina” Tilikum, che ha aggredito e ucciso i suoi addestratori. Questi episodi hanno fatto luce sulla vera natura di questi posti: degli inferni.

Mentre la corrida è associata al sangue e alla violenza, i parchi acquatici sembrano posti divertenti, dove delfini e orche stupiscono ed intrattengono il pubblico con i loro esercizi e la loro simpatia, al suono di musiche accattivanti e coinvolgenti. Gli addestratori fanno loro i complimenti, li accarezzano, sembrano avere instaurato un bel rapporto con loro e gli applausi commossi scrosciano.

Ammetto che prima di vedere il documentario Black Fish (che parla proprio dell’orca Tilikum), benché non mi sia mai piaciuta l’idea di imprigionare gli animali, non avevo idea delle torture a cui sono sottoposti.

Vi riassumo brevemente il documentario, che merita di essere visto e che spiega in modo esauriente le condizioni di vita degli animali nei parchi acquatici:

  • La sofferenza fisica

La prima causa di sofferenza è la mancanza di spazi: le orche, che in natura percorrono fino a 200 km al giorno, nei parchi sono costrette a vivere in vasche troppo strette per loro, in cui possono a malapena girarsi.

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Picture by Steve Halama

Non è tutto.

L’acqua in cui vivono è parzialmente clorata, il che danneggia le loro cornee e i loro polmoni.

Il cibo che viene dato loro non è vario come quello che si procurano in natura, questo causa loro problemi digestivi e carenze alimentari.

Infine, la loro aspettativa di vita non supera i 30 anni, mentre in natura le orche sono animali molto longevi e vivono fino ad 80 anni, essendo in cima alla catena alimentare.

  • La sofferenza psicologica:

Potete immaginare quanto sia difficile addestrare un animale selvatico!

Per fare ciò, gli addestratori usano il sistema della ricompensa: se le orche fanno gli esercizi richiesti, mangiano, altrimenti no. La fame, l’isolamento, la mancanza di spazio rende questi animali nervosi e depressi.

Le testimonianze di ex addestratori e persone che lavoravano nei parchi acquatici ci fanno scoprire che questi animali sono imbottiti quotidianamente di psicofarmaci e antidepressivi, somministrati assieme al cibo. Infatti, se un’orca è depressa non mangia, e se non ha appetito il sistema di addestramento con ricompensa non funziona: i farmaci sono quindi l’unica soluzione.

Molti di questi animali diventano quindi aggressivi (con gli altri animali, spesso orche o balene appartenenti a gruppi diversi che in natura non vivrebbero mai a stresso contatto e che nei parchi sono, invece, costretti a convivere,  ma anche con gli addestratori stessi).

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Chi di voi rinchiuso in gabbia non impazzirebbe?

Le orche sono predatori temibili, ma non per l’uomo. Non si registrano in natura aggressioni di orche agli esseri umani, mentre in questi parchi acquatici gli “incidenti” sono numerosi.

Non si tratta di incidenti.

Le orche, animali estremamente sensibili, dall’intelligenza evoluta e complessa, impazziscono a causa delle condizioni di vita che sono costrette a condurre e aggrediscono gli addestratori. I filmati contenuti nel documentario non lasciano alcun dubbio sulla volontarietà dell’aggressione.

Tilikum, l’orca protagonista del reportage, ha vissuto una vita relativamente breve ma tristissima: anche dopo aver aggredito e ucciso i suoi addestratori, non è stato soppresso, ma mantenuto in vita per poter utilizzare il suo sperma e fecondare altre orche, dal momento che la cattura di orche selvatiche è estremamente complessa e costosa.

D’altro lato, la vera storia dell’orca protagonista del celebre film free Willy (il cui nome era Keiko) ci insegna che il reinserimento in natura di un animale nato in cattività spesso non è possibile.

In seguito alla diffusione del documentario, fortunatamente l’afflusso a Seaworld è sensibilmente diminuito. Tuttavia, questi posti esistono ancora, perché molti non sono a conoscenza di che cosa si celi dietro a quegli spettacoli apparentemente divertenti: tanta inutile sofferenza giustificata solo dalla curiosità umana.

Ne vale la pena?

Si potrebbe pensare di tramutare questi parchi in rifugi per animali feriti o in difficoltà, il che realizzerebbe il sogno di chi desidera lavorare a contatto con gli animali, che non sarebbero più al nostro servizio ma sotto le nostre cure.

 

Fatemi sapere che cosa ne pensate !

 

 

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